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NANO

GIGANTE

NANO : personifica i bassi istinti e i poteri al di fuori della sfera del cosciente, adulto non cresciuto infantile e dispettoso, vive protetto nella madre, ma è anche protettore, è il guardiano della soglia dell’inconscio


GIGANTE : è la forza inconsapevole e immatura, parte adulta cresciuta troppo in fretta quindi ingenua, istintiva e spesso inadeguata, ma è un aiutante che vive tra le nuvole

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I nani hanno scatenato la fantasia in milioni di storie. Sono fuoriusciti dal semplice genere delle fiabe e sono diventati una categoria del “fantasy”. Lì, hanno fondato villaggi, città, stati, si sono dati una moda, un gergo e dei vizi. In questa mitologia contemporanea, che spazia della letteratura ai giochi di ruolo, il popolo nano sembra una specie importata dal Veneto: sostanzialmente, beve e lavora. Nelle fiabe il ruolo dei singoli nani è vario, talvolta aiutano, talvolta ostacolano, ma possono diventare anche protagonisti, come nel caso di Pollicina. Il classico nano è legato al mondo del basso e del sottosuolo, lo troviamo che scorrazza per i tunnel, grazie alla sua piccola statura, e preferibilmente intento a cercare beni preziosi in miniera. Biancaneve ne ha trovati sette, gli stessi vegliano la morte che la tiene prigioniera ma non possono svegliarla perché piccoli bassi e brutti. Dopo anni di fedeltà, amicizia e reciproco rispetto, a baciare la ragazza sarà il classico principe appena conosciuto su Tinder, però bello e cool (ricco no, erano ricchi anche i nani, con tutti quei diamanti). Sono spesso a guardia di prigioni o hanno oggetti magici che possono aprirle trovati nelle loro miniere.

All’opposto stanno i giganti. La loro stazza di solito spaventa, ma variano dal tipo “grande e bonaccione” al “mostro bastardo”, che talvolta fagocita le piccole persone. Quindi anche loro, come i nani, possono aiutare o ostacolare. In alcune storie sono aggressivi, in altre è attribuita loro una scarsa capacità di raziocinio: laddove il nano è scaltro, il gigante è lento, disperdendo gran parte della propria energia nella sua gigantosità. Anatomicamente parlando, essendo proporzionatamente grande, ha la stessa possibilità di essere intelligente o no come chiunque altro, ma non credo che ci siano studi specifici sull'argomento. I giganti cattivi sono associati alla paura che l’enormità provoca su di noi, simbolo di ostacoli insormontabili che ci tengono legati e imprigionati alle nostre fobie. Ammazzare il gigante vuol dire crescere e superare i propri limiti. Jack l’ammazzagiganti ne ha fatto un mestiere, andando in giro per tutta l’Inghilterra a far strage di qualunque roba alta si aggirasse per le strade. Per fortuna ai tempi non si giocava a basket.

CONSIGLI DI LETTURA

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Un’interessante saga coinvolge nani e giganti in rapimenti e prigionie. Ne L’anello del nibelungo, Richard Wagner non lesina di attingere a personaggi immaginari, che prevedono dei e affini. Lo so che appena pronunciato nibel… vengono in mente valchirie che calano in picchiata e Apocalypse now, ma l’opera contiene molto di più. Wagner propone idee filosofiche e sociali, l’intera tetralogia può leggersi come una critica al sistema borghese nascente, una lotta tra potere e amore, tra uomo e natura. Dentro la sua storia convergono diverse forme di ispirazione: fanciulle che si svegliano con un bacio, fratelli incestuosi, Odino, elmi magici e c’è pure il drago.

La saga è composta da quattro episodi, ma noi ci soffermeremo sul primo: L’oro del Reno, scritto nel 1853-54 e rappresentato per la prima volta nel 1869 a Monaco di Baviera. Inizia tutto da qui, e inizia con un nano.

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I nibelunghi sono nani della tradizione tedesca e nordica. Come al solito, vivono sottoterra e sono bravi fabbri. Il nostro si chiama Alberich e tutta lunghissima saga nasce da un banale due di picche. Tre ondine, che sono a guardia dell’oro del Reno, si prendono gioco del nano, uscito dai cunicoli col chiaro intento di “beccare”. Si divertono un sacco a sbeffeggiarlo e gli svelano che il tesoro può essere preso solo da chi rinuncia per sempre all'ammmmmore. Immediatamente il nibelungo lo fa, tanto in realtà non rinuncia a niente perché nessuno se lo fila, si impadronisce dell’oro e torna tra i compatrioti, che soggioga con enorme piacere. Abbiamo quindi una valida figura di nano signore e carceriere, non proprio esempio di sovrano illuminato:

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Abbi questo ringraziamento, scemo!

La tua opera funziona bene!

Hoho! Hoho!

Nibelunghi tutti,

inchinatevi dunque ad Alberico!

Dovunque ora egli veglia,

a vigilarvi;

tregua, riposo,

finito è per voi;

per lui dovete faticare,

dove non lo vedrete;

dove non ve ne accorgerete,

attendetevelo!

Sudditi per sempre a lui siete!

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La sua strategia politica si riassume in “lavorate schiavi”. Dal tesoro fa forgiare un anello, che dà potere a chi lo indossa e contemporaneamente ne comporta la sciagura. Lo so, sembra proprio…

…e un po’ lo è, perché Tolkien ha studiato effettivamente le leggende che riguardavano i nibelunghi. Gollum però tenerezza, Alberich è solo bastardo dall'inizio alla fine.

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Intanto, Wotan (in pratica Odino) si fa costruire dai due giganti Fasolt e Fafner una reggia dove andare a vivere con tutti gli dei, promettendo loro in cambio Freia, la dea che si occupa anche di far crescere i pomi dai quali gli dei traggono l’eterna giovinezza. Ovviamente Wotan non ha nessuna voglia di dar loro un così valido elemento della squadra, però i giganti su questo punto non transigono: che cosa c’è di più importante dell’amore di una donna (che tra l’altro sa anche fare crostate di mele che danno vita eterna)? Ma l’anello del Nibelungo, chiaro! Se per forgiarlo Alberich ha rinunciato per sempre alle femmine, ne varrà la pena! A questo punto i bestioni accettano di ricevere l’oro del Reno al posto della dea, ma per sicurezza la rapiscono. Wotan e compagnia si lanciano nella terra dei nani per compiere l’impresa. Niente di nuovo: i giganti nelle sage sono spesso in conflitto con gli dei, anche nella Gigantomachia greca li troviamo a tentare la scalata all’Olimpo, con scarsi risultati.

In fin dei conti, a parte i rapimenti reali, tutto il poema gira attorno a prigionie più ideologiche: l’amore, il potere e la ricchezza.

E Brunilde, direte voi?

Ma no, lei arriva solo nella seconda parte.

Per finire, un consiglio un po’ scontato. Giganti e (molto) nani si trovano a confronto con Gulliver, il protagonista de I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Nel primo dei suoi pellegrinaggi, il protagonista naufraga su una spiaggia, dove viene catturato dal piccolo popolo Lillipuziano, composto da esserini alti un dodiciesimo di umano. Anche se piccoli, si rivelano comunque fetenti:

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Risposi poche parole, ma non mi capirono; allora ricorsi ai segni e con la mano che avevo libera, passando sopra quei gentiluomini, mi toccai l'altra mano e la testa. Sua Eccellenza comprese che domandavo d'essere slegato, ma egli mi fece capire che sarei stato portato via così come mi trovavo, pure assicurandomi, con altri segni, che non mi sarebbe negato tutto ciò di cui abbisognassi. Feci di nuovo l'atto di rompere i miei legami, ma quando risentii sulle mani e sul viso, già gonfi, la puntura delle loro frecce, alcune delle quali m'erano rimaste confitte nella carne, mi mostrai rassegnato a sottomettermi in tutto, tanto più che il numero di quegli omettini cresceva ad ogni istante.

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 In realtà il popolo si rivela molto ospitale, anche se poi lo condanna a morte.

Nel secondo viaggio Gulliver arriva a Brobdingnag e qui, abitanti dodici volte più grandi di un umano, lo fanno nuovamente prigioniero, usandolo prima come fenomeno da circo e poi facendolo diventare una specie di Barbie, con tanto di minicasetta.

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